IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 23 marzo 2000 ed esaminati gli atti del procedimento iscritto al n. 2443/1999 r.g.a.c., osserva. Con atto di intimazione di sfratto per morosita' e contestuale citazione per la convalida dello stesso, Carpanoni Francesco, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Coli, giusta procura a margine dell'atto introduttivo, conveniva in giudizio certo Khalikane Miloudi. La notificazione veniva eseguita a mezzo del servizio postale e - dopo una prima rinnovazione - avveniva in conformita' con le previsioni dell'art. 8 legge n. 890/1982. All'udienza di comparizione, non costituitosi ne' comparso personalmente l'intimato, parte attrice dichiarava la persistenza della morosita' e chiedeva convalidarsi lo sfratto. La mancata comparizione dell'intimato impone, in primo luogo, di esaminare la ritualita' della notificazione dell'atto di citazione. Tale notificazione e' stata eseguita, come detto, con raccomandata postale. In particolare, risulta dall'esame degli atti che l'ufficiale postale, recatosi presso il luogo indicato sul piego da recapitare e non avendovi rinvenuto ne' il destinatario dello stesso ne' alcuno cui consegnarlo, ha provveduto a depositano presso l'ufficio postale ed ha dato avviso di tale deposito a mezzo di altra raccomandata, secondo le previsioni del citato art. 8 legge n. 890/1982 come integrato dall'intervento della Corte costituzionale. Con sentenza n. 346 del 23 settembre 1998 la Consulta ha infatti dichiarato l'incostituzionalita' della norma in questione nella parte in cui non prevede che, in caso di assenza del destinatario di una notificazione effettuata mediante il servizio postale (e di rifiuto, mancanza, inidoneita' o assenza delle altre persone abilitate a ricevere l'atto), al destinatario sia data notizia, con raccomandata con avviso di ricevimento, del compimento delle formalita' prescritte e del deposito del piego presso l'ufficio postale, in analogia con quanto previsto all'art. 140 c.p.c. Ancora in analogia con quanto disposto dalla citata norma del codice di rito ed in ossequio ad altra statuizione della Corte contenuta nella sentenza appena citata, il piego in parola e' rimasto giacente presso l'ufficio postale ed al mittente sono stati restituiti, dopo il decorso del termine di dieci giorni di giacenza di cui al quarto comma della norma in esame, solo gli avvisi ex art. 8, terzo comma, come novellato ed ex art. 660, ultimo comma c.p.c. A fronte dell'apparente regolarita' dell'iter di notifica, questo giudice ritiene di dovere verificare se il citato quarto comma dell'art. 8 legge n. 890/1982, dopo l'intervenuta declaratoria di incostituzionalita' della norma nella parte sopra ricordata, sia ancora costituzionalmente legittimo. Le brevi considerazioni di cui infra possono essere sin da ora riassunte nel quesito se il termine di "dieci giorni dalla data di deposito" del piego presso l'ufficio postale possa tuttora rappresentare lasso di tempo necessario e sufficiente al perfezionamento della notifica. La domanda trova ragione, ad avviso di questo giudice, sia nella gia' dichiarata illegittimita' della norma nella parte in cui disponeva che, decorsi dieci giorni dal deposito del piego senza che dello stesso venisse curato il ritiro, ne venisse fatta restituzione al mittente, sia nelle stesse ragioni che hanno a suo tempo indotto il giudice delle leggi a censurare la norma. Appare opportuno premettere che non si ignora l'obiter dictum della sentenza n. 346/1998 citato, secondo cui la pronunzia di incostituzionalita' del terzo comma "non concerne in alcun modo l'individuazione del termine perfezionativo della notificazione (in relazione al quale dispone il quarto comma del citato art. 8) bensi' la legittimita' della norma che dispone la restituzione al mittente del piego non ritirato dal destinatario entro i dieci giorni dal deposito presso l'ufficio postale" (part. 5.2, sent. cit.). La sede dall'affermazione (nella parte motiva della sentenza) consente al giudice di non uniformarsi al principio, ma l'autorevolezza della fonte impone, in tal caso, di procedere ad un'analisi quanto piu' puntuale e scrupolosa della questione. I. - Una prima osservazione e' di carattere "pratico" e sembra potersi articolare sotto i due profili che seguono. I.a - In mancanza, allo stato, della previsione di altro e maggiore termine di giacenza del piego presso l'ufficio postale - temine la cui eventuale fissazione e' demandata al legislatore, come sottolineato dalla stessa Consulta, secondo cui il limite della discrezionalita' normativa "sara' rappresentato esclusivamente dal diritto di difesa del destinatario, in relazione al quale deve ritenersi illegittima qualsiasi disciplina che, prevedendo la restituzione del piego al mittente dopo un termine di deposito eccessivamente breve, pregiudichi la concreta possibilita' di conoscenza del contenuto dell'atto da parte del destinatario del medesimo" (par. 5.2 cit.) - qual e' il lasso di tempo decorso il quale la notifica puo' intendersi validamente effettuata? Sembra infatti che validita' ed efficacia della notifica siano due aspetti che, nell'impianto attuale della norma, non coincidono temporalmente. Posto, cioe', che gli effetti della notifica inizino ad esplicarsi "decorsi dieci giorni dalla data del deposito" (come dispone il quarto comma della norma in esame, se ritenuto tuttora legittimo), occorrera' tuttavia e comunque che la notifica sia in se' valida, abbia cioe' rispettato quanto necessario alla tutela del diritto di difesa del destinatario dell'atto. E' la stessa Corte a sottolineare l'importanza e l'autonomia di siffatto requisito proprio nel censurare la parte della norma gia' ricordata e nell'affermare che l'atto da notificare deve rimanere giacente presso l'ufficio postale per un lasso di tempo idoneo ad assicurarne la conoscibilita' - e certamente superiore a quello di dieci giorni, ritenuto "del tutto inidoneo, per la sua brevita', a garantire l'effettiva possibilita' di conoscenza" (par. 5.2 cit.). Quando potra' dunque ritenersi verificato il raggiungimento dello scopo della notifica (eventuale nella realta', necessario nella finzione legale): quello di portare l'atto a conoscenza del destinatario? Solo allo scadere del termine di giacenza che il legislatore intendesse fissare - e, ripetersi, certo superiore ai dieci giorni pure ipoteticamente sufficienti per "l'efficacia" della notifica - il giudice potrebbe ritenere validamente compiuta la notifica stessa, ferma la retroattivita' dei suoi effetti allo scadere del decimo giorno dal deposito dell'atto presso l'ufficio postale. Ne' alla mancanza di un tale termine puo' sopperirsi con l'estensione all'art. 8 cit. dell'interpretazione data all'art. 140 c.p.c., che vuole il compimento della notifica al momento dell'esecuzione, da parte dell'ufficiale giudiziario, della formalita' previste dalla norma. Vi osta, qui, sia l'espressa previsione di un termine maggiore per il perfezionamento della notifica - o meglio, per l'individuazione della sua efficacia (che, ripetesi, si ha solo dopo che sono decorsi dieci giorni dalla data del deposito del piego) - sia il fatto che la diversita' del soggetto notificante (l'agente postale in luogo dell'ufficiale giudiziario) non consente di estendere de plano la disciplina particolare del codice di rito in mancanza di un'espressa indicazione normativa in tal senso. E' vero che la ravvisata analogia dell'ipotesi considerata dell'art. 8, legge n. 890/1982, con quella dell'art. 140 cit., oltre ad essere stata strumento ermeneutico per pervenire alla dichiarazione di incostituzionalita' piu' volte citata, ha indotto la Corte a richiamare l'attenzione del legislatore sulla possibilita' di farvi ricorso nel prevedere una "nuova" disciplina delle notifiche a mezzo posta per la parte che qui interessa, ma tale analogia non puo' certo essere sin da ora sufficiente per consentire al singolo interprete un'integrazione diretta della norma. Al contrario, proprio il fatto che la Consulta rimetta al legislatore l'adozione di regole anche diverse (par. 5.2 cit.), con il solo "limite ... del diritto di difesa del destinatario" (ibidem), gia' menzionato, denota la mancanza, allo stato, di una previsione relativa al termine di giacenza dell'atto e dunque di (verifica della) "validita'" della notifica. Non potendo pertanto l'interpete evincere dalla norma quale sia il termine "congruamente lungo" di giacenza del piego e dovendo esso interprete tuttavia attendere che un tale termine sia decorso per ritenere la notifica validamente compiuta - cioe' compiuta con modalita' idonee a consentire al destinatario la conoscenza virtuale dell'atto - sembra doversi pervenire alla conclusione che la disposizione in parola, dopo l'intervento della Consulta, presenta un voto normativo in se' idoneo a ledere il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Tale vuoto, infatti, ipoteticamente suscettibile di essere colmato da interpretazioni diverse da parte dei diversi giudici cui la questione fosse sottoposta, comporterebbe virtuali disparita' di trattamento in casi evidentemente identici. I.b - Altro profilo pratico che sembra costituire possibile causa di provvedimenti difformi in casi identici e' quello riguardante l'applicazione dei commi quinto e sesto della norma in esame (tuttora vigenti nell'originaria formulazione), i quali prevedono espressamente che se "durante la permanenza del piego presso l'ufficio postale il destinatario o un suo incaricato ne curi il ritiro ... (quinto) [la] notificazione si ha per eseguita alla data di ritiro del piego (sesto)". Il combinato disposto dalle norme fa riferimento generico al periodo di "permanenza del piego presso l'ufficio postale" e non si rinvengono ragioni per limitare a dieci giorni il lasso di tempo nell'ambito del quale il ritiro del piego da parte del suo destinatario determini il perfezionamento della notifica. Qid iuris, dunque, se il destinatario ritiri il piego l'undicesimo giorno (o qualsiasi altro successivo al decimo) dal deposito dello stesso presso l'ufficio postale? In quale momento dovra' il giudice ritenere verificato il compimento della notifica? Anche in questo caso, la possibile eterogeneita' delle determinazioni, non confortate da un dato normativo positivo, induce a temere la violazione del principio di uguaglianza gia' richiamato. II. - Una seconda considerazione e' di carattere teorico. Nella ridetta sentenza n. 346/1998 la Consulta si preoccupa, come visto, della necessita' di consentire al destinatario dell'atto "la concreta possibilita' di conoscenza del [suo] contenuto". E' tale preoccupazione che induce la Corte a valutare la congruita' del termine di dieci giorni per la giacenza del piego contenente l'atto ed a concludere per la sua inadeguatezza, per non essere lo stesso sufficiente a consentire al suo destinatario il relativo diritto di difesa. In primo luogo, sembra doversi ritenere che il diritto di difesa cui la sentenza citata ha avuto attenzione sia quello attinente al contraddittorio alla cui instaurazione la notifica e' preposta. Non avrebbe senso, infatti, concepire un "diritto di difesa" diverso da quello che si contrappone alla pretesa contenuta nell'atto da notificare ed avulso dal relativo procedimento, a meno di non prevedere la tutela di un generico interesse del soggetto a conoscere quali domande vengano da altri "agite" nei suoi confronti. Non sembra questo lo scopo della notifica, trattandosi invece, proprio nelle chiare parole della Consulta, di adempimento volto a "consentire l'instaurazione del contraddittorio e l'effettivo diritto di difesa" (par. 5.1, sent. cit.). La correlazione, nel passo citato, tra il "contraddittorio" e l'esercizio del "diritto di difesa", prima ancora che sintattica e' correlazione logica: e' interesse del legislatore a fissare condizioni che assicurino il diritto di un "soggetto A" ad agire, bilanciando le esigenze di questi con quelle del "soggetto B" che deve difendersi. Per raggiungere lo scopo processuale appena ricordato si rende necessaria la finzione legale, la costruzione di un paradigma normativo rispettato il quale puo' e deve ritenersi validamente instaurato il contraddittorio. E' evidente, infatti, che non puo' rimettersi alla verificazione degli effetti concreti (la conoscenza dell'atto da parte di B, suo destinatario) la possibilita' del soggetto A di procedere all'esercizio dell'azione: non solo si imporrebbe cosi' ad A di soggiacere ad accadimenti del tutto indipendenti dalla di lui volonta' e diligenza, ma si finirebbe paradossalmente per condizionare la possibilita' di agire nei confronti di B alla "disponibilita'" dello stesso soggetto B a rendersi destinatario dell'azione. La creazione del paradigma legale in tanto si giustifica, in quanto sia in grado di bilanciare i contrapposti interessi, ed ecco che sembra potersi concludere per la necessaria "specularita'" della definizione: si potra' ritenere validamente instaurato il contraddittorio anche laddove uno dei soggetti non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto, che tale contraddittorio introduce, solo laddove sara' stato rispettato quel minimum di tutela nei confronti del destinatario dell'atto che consiste nel creare le condizioni per la conoscibilita' dell'atto medesimo, si' da trasferire in capo ad esso destinatario la responsabilita' dell'ignoranza. Nella fattispecie che qui interessa, il minimum di tutela consiste proprio nella previsione di un termine decorso il quale il giudice, preso atto del rispetto del paradigma normativo, accerta la valida instaurazione del contraddittorio e procede all'esame della domanda ancorche' la stessa possa non essere stata conosciuta dal suo destinatario. E' la "congruita'" di tale termine a fare si' che non sia "ingiusto" procedere nei confronti di un soggetto (virtualmente) ignaro dell'azione che viene spiegata contro di lui. E' la congruita' di tale termine a fare si' che possa operarsi la finzione legale che rende esistente in ambito processuale un contraddittorio assente nella realta' fattuale. Ebbene, tale termine non puo' che essere uguale per il notificante ed il notificatario: solo nel momento in cui viene ad esaurirsi il lasso di tempo consentito al notificatario per prendere eventuale conoscenza dell'atto, nel rispetto del suo diritto di difesa, si potra' considerare raggiunto lo scopo del notificante, di convenire ritualmente in giudizio altro soggetto e di renderlo parte di tale giudizio, ancorche' questi ne sia sostanzialmente ignaro. L'inosservanza del termine in parola, nel privare il destinatario della domanda della tutela necessaria al suo diritto di difesa, svuota di contenuto la finzione legale anche nella parte che riguarda il notificante, che non potra' ritenersi parte di un contaddittorio rituale. E' bensi' vero che, proprio con riferimento alla norma in esame, si sono operati, dalla giurisprudenza di legittimita', opportuni e sottili "distinguo" tra gli effetti della notificazione per il notificante e quelli per il destinatario (cfr. Cass. s.u. civ., 5 marzo 1996, n. 1729), tuttavia cio' non sembra avere inciso sul concetto di "perfezionamento della notifica in se'", ma solo sulla valutazione dei diversi effetti che l'attivita' del notificante puo' avere nell'ambito del proprio rapporto con l'ufficio avanti il quale si procede e che devono essere tenuti distinti da quelli relativi al destinatario. E' la stessa Suprema Corte che puntualmente afferma: "allorquando la notificazione viene in rilievo come compimento di attivita' da parte del notificante, alla quale si collega il rispetto di un termine posto dalla legge a suo carico ... appare razionale che la tempestivita' dell'atto si consideri verificata con il compimento, appunto, di quell'attivita', restando indifferente l'ulteriore vacatio temporale prevista della legge (art. 8, quarto comma, legge n. 890/1982 ...). Tale ulteriore vacatio e' invece rilevante ai fini del perfezionamento della notificazione allorche' questa viene in considerazione non come attivita' del notificante ma come effetto di conoscenza per il notificato, essendo evidente che quel decorso temporale e' appunto preordinato a favorire tale possibilita' di presa di conoscenza dell'atto da parte del destinatario o comunque a tenere indenne quest'ultimo, per la durata del decorso stesso, dagli effetti sfavorevoli (decorrenza di termini e simili) dell'attivita' del notificante. Piu' sinteticamente, nel primo caso il notum facere rileva come attivita' e con il compimento di questa e' realizzato, mentre nel secondo rileva come risultato, che in tanto puo' considerarsi raggiunto in quanto la conoscenza effettivamente si produca con il ritiro dell'atto (art. 8, sesto comma) ovvero tutti gli elementi per consentirla o per propiziarla, ivi compreso il decorso del tempo, si siano verificati (art. 8, quarto comma)" (Cass. s.u. civ., 5 marzo 1996, n. 1729, citato). Le argomentazioni che precedono sono state elaborate dalla Suprema Corte allorche' la norma in esame non era stata censurata dalla Corte costituzionale e non prendono dunque in considerazione il problema della congruita' del termine di dieci giorni per il raggiungimento dello scopo della notifica; l'assunto e' tuttavia di limpida chiarezza e conforta questo giudice nel ritenere che il risultato rilevante della notifica puo' considerarsi raggiunto solo quando si sia verificato, tra gli altri elementi necessari, il decorso del tempo idoneo a favorire la possibilita' di presa di conoscenza dell'atto da parte del destinatario e durante il quale quest'ultimo viene tenuto indenne dagli effetti sfavorevoli (decorrenza di termini e simili) dell'attivita' del notificante. Tale tempo e' proprio quello la cui durata non puo' essere eccessivamente breve, cosi' da pregiudicare "la concreta possibilita' di conoscenza del contenuto dell'atto da parte del destinatario medesimo" (Corte costituzionale citata, par. 5.2 in fine) e che la Corte costituzionale ha ritenuto dovere essere maggiore di dieci giorni. Non sembra dunque piu' possibile ritenere che "la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del deposito" (art. 8, quarto comma), se non mettendo a repentaglio quello stesso diritto di difesa che la Consulta ha inteso tutelare con la piu' volte ricordata sentenza n. 346/1998, nel rispetto del principio fondamentale sancito dall'art. 24 della Carta costituzionale. La necessaria pregiudizialita' della questione in esame rispetto alla pronunzia sul caso concreto sottoposto alla cognizione di questo giudice impone la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per le determinazioni di competenza.